Il “Duca” è diventato Cavallo Pazzo in rossonero: tra derby vinti, sorrisi con Modric e sguardi al futuro, Rabiot spiega perché crede in questo Milan.
La prima cosa che colpisce di Adrien Rabiot non è una giocata o un dato statistico, ma quella calma sicurezza con cui parla del Milan di Allegri. Non pronuncia mai la parola scudetto, resta fedele alla linea del suo allenatore, eppure da ogni risposta traspare la convinzione che in rossonero possa alzare altri trofei, come già successo al Psg e alla Juventus.

Per spiegare questa fiducia Rabiot parte dalle basi: un club strutturato come il Milan, uno spogliatoio compatto, uno staff tecnico che sa cosa vuole. Nessuna promessa al pubblico, solo una ricetta semplice: lavoro settimanale, sacrificio, capacità di dare “quel qualcosa in più” che fa la differenza nelle stagioni lunghe.
La parola chiave è mentalità vincente, quella che, a suo dire, Allegri trasmette ogni giorno a Milanello. Così ha parlato Rabiot nell’intervista a ‘Gazzetta’, spiegando il rapporto davvero speciale che c’è fra lui e il suo allenatore.
Il cuore dell’intervista è il rapporto con il suo allenatore. Rabiot non lo nasconde: Allegri è stato decisivo in ogni passaggio della sua carriera italiana. “È un vincente”, dice senza giri di parole. Gli piace la personalità, il modo di allenare, la passione. Aggiunge anche un dettaglio che vale più di un commento: “Mi rivedo nel suo modo di pensare”.
È lo stesso filo che lo ha guidato quando il Milan lo ha cercato in estate. I rossoneri erano già stati sulle sue tracce l’anno precedente, ma il via libera mentale è arrivato solo quando Allegri gli ha detto quel famoso “Vediamo cosa succede…”. Una frase semplice, che però lui ha percepito come un segnale. E qualcosa, alla fine, è successo davvero.
I soprannomi completano il quadro. A Parigi “Le Duc”, a Torino “Il Duca”. Per Allegri, invece, è “Cavallo Pazzo”, un nomignolo che Rabiot accoglie sorridendo: “Mi rappresenta”. E in effetti il suo modo di strappare in campo dà ragione al mister.
Un leader più maturo: il peso specifico a centrocampo
Nella parte centrale del suo racconto c’è una riflessione lucida sul proprio percorso. Rabiot ammette di sentirsi “più leader e più maturo” rispetto agli anni della Juventus. Non si considera un giocatore arrivato, anzi. Studia video, rivede i movimenti, cerca dettagli da aggiustare. La crescita, per lui, non è un concetto astratto: è una pratica quotidiana.
I numeri danno sostanza a questa sensazione. Con lui in campo, il Milan ha ottenuto cinque vittorie e un pareggio in sei partite, subendo una sola rete. Rabiot non se ne appropria, ma spiega sottovoce il suo contributo: “Magari trasmetto un po’ di fiducia ai miei compagni”. Parla molto, soprattutto nei momenti delicati, e questo peso specifico lo si percepisce anche da fuori.

La questione del gol? Rabiot la liquida con naturalezza: “Spero arrivi presto”, dice, ma chiarisce che la sua priorità resta dare equilibrio, corsa, contrasti, consigli. Se la squadra vince, il resto passa in secondo piano.
Nel suo discorso c’è spazio per un nome che divide e unisce allo stesso tempo: Mike Maignan. Rabiot lo definisce “straordinario”, uno dei pochi al mondo di quel livello. Spera che possa rinnovare il contratto, pur senza entrare nella trattativa. Sottolinea però un punto: “Mike ama la maglia rossonera”, frase che pesa più di qualsiasi speculazione.
Poi vengono gli altri compagni. Nkunku è un talento pronto a esplodere appena ritroverà la forma migliore. Leao sorprende per lo spirito di sacrificio: “È migliorato molto”, nota Rabiot, descrivendo una scivolata difensiva fatta in allenamento. E su Modric c’è quasi dolcezza: “A 40 anni ama il calcio come un bambino”. Una frase che dice tanto sul rispetto profondo che il francese prova per il croato.
Rabiot non parla di scudetto, rimanda tutto a marzo. Ma ascoltando il tono delle sue parole, la sensazione è chiara: Rabiot si sente al centro di qualcosa che può davvero portar lontano. Nel posto giusto, al momento giusto, con le idee molto più nitide di quanto voglia ammettere.





